Di Giulio Gasca e Carola Palazzi Trivelli
Con il contributo di Stefania Cristofanelli sul metodo Exner
(124 protocolli visti attraverso il test di Rorschach e l’esperienza di una vita con gli schizofrenici)
Un testo per tecnici (psichiatri, psicologi, testisti, operatori della psiche…) ma anche per sfatare l’idea che la schizofrenia sia qualcosa di inconoscibile, di spaventoso/mostruoso, pur interessando 24 milioni di persone sul totale della popolazione mondiale, circa l’1,5%.
Cos’è la schizofrenia?
E’ un processo umano che si svolge a fasi, non preordinate, ma a un certo punto riconoscibili, talvolta invece no, confuse tra loro.
Con questo testo si entra, attraverso il test di Rorschach e l’interpretazione delle sue “macchie” dentro il funzionamento di una mente schizofrenica, nel bene e nel male, nell’acuzie e nell’intorpidimento, cogliendone tutte le sfaccettature sino a considerarla solo un evento umano che soffre più di altri di fronte al caos dei messaggi contraddittori che ci arrivano continuamente, non sapendo adattarvisi. Lo studio accurato di 124 protocolli Rorschach di 118 soggetti sofferenti di schizofrenia ci porta all’interno del suo funzionamento.
Ma il test di Rorschach permette di diagnosticare la schizofrenia? Permette di escludere che un soggetto sia schizofrenico? Può dare indicazioni sulla sua evoluzione e sulle possibilità terapeutiche? Il test di Rorschach rispecchia il modo in cui l’individuo si rapporta alla realtà che, come le tavole del test, è spesso ambigua. Il soggetto cerca di coglierla nel suo insieme, o di limitarsi ad una parte di essa che per prima lo coinvolge, o ancora cerca di approfondire questioni marginali e poco evidenti? Nel primo caso si affida ad un’impressione, o si cura di fare una sintesi accurata dei diversi elementi o ancora li assembla in modo superficiale? Usa la logica pura, l’intuizione o si fa guidare dalle emozioni? O anche da più di queste cose assieme? Se la cava conformandosi al luoghi comuni o cerca di pensare in modo critico e originale? Questi interrogativi valgono per la persona comune, ma anche per il ricercatore, lo scienziato che, su una questione ambigua, irrisolta deve e vuole formulare una teoria.
Ma, come lo scienziato ricercatore anche lo schizofrenico affronta, tutti i giorni, una realtà per lui ambigua, difficile da padroneggiare. Il disturbo fondamentale della crisi schizofrenica è l’impossibilità di stabilire cosa, in una data situazione, sia rilevante e pertinente: la schizofrenia acuta si configura come una crisi epistemologica personale, un modo estremo dell’essere umano di reagire alla complessità e alla contraddittorietà dell’esistenza, una sorta di crisi di senso. Per difendersi dal caos che ne deriva lo schizofrenico introduce meccanismi di difesa contro questo caos: limitare il campo di interessi, razionalizzare in modo patologico, o vivere in modo puntiforme, istante per istante.
Ma anche il ricercatore, più ancora dell’uomo comune, di fronte ad un materiale ambiguo deve prendere in considerazione aspetti inconsueti, uscire dagli schemi ma, a differenza dello schizofrenico che pensa in modo iperinclusivo, riesce a selezionare tra le nuove forme quelle valide, a prezzo talvolta di finire nel caos: può difendersi da ciò limitando le sue prospettive, rifugiandosi in pregiudizi teorici o accontentandosi di risultati frammentari.
Ecco perché i tre campi da noi affrontati ovvero l’interpretazione del Rorschach, lo studio della schizofrenia, i problemi epistemologici che si riflettono sulla nostra stessa ricerca giungono come a sovrapporsi, arrivando così ad integrare tre prospettive, ciascuna delle quali aiuta ad illuminare le altre due.
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Il corso di supervisione è finalizzato ad approfondire il tema della diagnosi e della cura dei pazienti assumendo il paradigma del reciproco influenzamento di contesto sociale, storico, familiare e strutturazione psichica.
L’approccio alle costellazioni trans generazionali con l’orientamento junghiano sviluppato con lo psicodramma, permette di fare memoria in forma analogica delle mitologie famigliari ed individuali che hanno partecipato alla costruzione delle attuali identità e di ri-prendere in carico se stessi, ri-combinando il presente con il passato per progettare il futuro.
Le narrazioni create e giocate nel gruppo di psicodramma analitico intervengono a ricomporre con ulteriori connessioni di senso gli eventi in cui i pazienti e noi siamo immersi e alla cui costruzione partecipiamo. Il tutto come tentativo di capire, al di là dell’unilateralità, la sofferenza psichica e la sua evoluzione e per sviluppare l’integrazione tra le parti. In questa ottica il gruppo si pone come strumento terapeutico privilegiato per approcciare le dinamiche relazionali con i nodi e gli svincoli e per riflettere sulla prassi, sugli obiettivi e sulla valutazione del lavoro clinico.
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Le metafore che ci aiutano a descrivere ciò che succede nei gruppi di psicodramma analitico.
Scritto da: Dott.ssa Vanda Druetta
E' uso in psicologia servirsi di metafore e di analogie per esprimere contenuti non altrimenti esprimibili. Ne abbiamo tutti esperienza.
L' introduzione di concetti quali campo, matrice, rete, ruoli, elaborati in ambiti scientifici differenti, rimandano alla necessità di effettuare delle trasposizioni analogiche da una scienza all'altra con buon vantaggio per la psiche impegnata a riflettere su se stessa.
Nella prospettiva epistemologica della complessità descrivere la natura della psiche e la sua vita comporta a volte il rischio di perdere stimoli e contenuti che per varie ragioni di incompatibilità relativa o assoluta con la coscienza vengono respinti o vengono privati del loro valore evocativo e della necessaria ulteriorità e che non potrebbero essere superati se non attraverso passaggi analogici.
Le analogie, e riferendomi allo psicodramma, è meglio pensare alle immagini concretizzate col gioco, con il loro dire molto di più e contemporaneamente molto di meno , inseriscono il pensiero in un ventaglio molteplice e multidirezionale di collegamenti, mantenendo il contatto tra la dimensione razional/scientifica e la dimensione trascendente del misterioso.
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Scritto da: Dott.ssa Vanda Druetta
Secondo l’ottica di ricerca junghiana, ogni uomo contiene in sé una trama il cui intreccio è costituito dai tratti individuali e dal senso storico e sociale del suo appartenere al collettivo. Lo svolgersi di ogni esistenza avviene in un insieme di relazioni preesistenti ed attuali, in cui sono dati e si sviluppano molteplici legami ,consci ed inconsci, personali e transpersonali .
Quindi è dalla appartenenza ad una storia relazionale che ciascun individuo beneficia di una quantità e di una qualità di sicurezza e di possibilità di dare un senso agli eventi che accadono nell’incontro con l’altro e di istituire e mantenere la coerenza del senso dell’identità.
Nei gruppi in cui ci troviamo a nascere e a vivere si crea lo spazio per reagire ad una situazione specifica con l’altro. Essi ci offrono un insiemi di legami emotivi e affettivi, ci stimolano l’assunzione di ruoli o modelli di rappresentazioni di noi , degli altri e dei contesti e prevedono o ci prescrivono l’autonomia, la libertà, l’individualità.
Si tratta di un processo complesso in cui, soltanto quando si crea una congiunzione nelle progettualità dei protagonisti delle relazioni, la riflessione reciproca diventa trasformativa e crea nel presente le condizioni per un divenire qualcosa che ancora non è.
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